Archive for giugno, 2009


Intervista Dente

Dente_1Giuseppe Peveri, in arte Dente, è uno dei cantautori più promettenti della scena italiana. Abbiamo approfittato dell’uscita del suo nuovo disco per porgli alcune domande e per saperne di più sia sul suo lavoro che sul suo pensiero. Per un ascolto vi rimandiamo al suo MySpace: www.myspace.com/amodente

Il 14 febbraio, San Valentino non a caso, è uscito il tuo quarto album L’amore non è bello. Un’affermazione dura, lontana dalla solita retorica. Da cosa è dettata?

È dettata dalle canzoni che ci sono dentro fondamentalmente, che parlano di questo lato dell’amore. Ho scritto del rapporto di coppia perché è quello che so fare meglio, non mi riesce scrivere di altro.  E poi ho scelto questo titolo perché sapevo che non sarebbe passato inosservato, l’ho fatto anche con gli album precedenti, usare come titolo dei detti un po’ cambiati, come con Non c’è due senza te. Invece di cambiare una parola stavolta ho tolto metà del detto ed ho ribaltato il concetto.

In questo disco si nota una particolare attenzione verso la musica, è un album più ricco musicalmente rispetto a Non c’è due senza te, che era una versione acustica chitarra e voce. Come mai ti sei spostato in questa direzione?

Principalmente perché ho avuto la possibilità di farlo, l’altro cd erano dei demo che avevo fatto in casa e non sapevo nemmeno che sarebbero diventati un album, li avevo fatti da me  e quando ho firmato il contratto con la Jestrai, la mia vecchia casa discografica, non ho avuto la possibilità di registrarli in studio perché non c’erano i mezzi. Adesso con l’etichetta nuova, la Ghost Records, ho avuto la possibilità di sbizzarrirmi un po’ di più, cosa che avrei voluto fare anche prima.

L’album è stato giustamente paragonato ad Anima Latina di Lucio Battisti. Quali sono state le altre fonti di ispirazione?

Più che dischi o artisti in particolare è più un’attitudine anni ’70, quel modo di fare i dischi, lavorare in studio, provare insieme i pezzi, suonare dal vivo tutti insieme, registrare sul nastro. Un approccio alla registrazione anni ‘70, suona diverso dalle produzioni di oggi. Volevo fare un disco come si faceva allora, secondo me uscivano delle produzioni molto più belle di quelle attuali, che sono tutte simili, un po’ scialbe.

Com’è attualmente essere cantautori in Italia? Trovi che sia più difficile emergere rispetto al passato?

È difficile viverci, come anni fa. I cantautori anni’70 si contavano sulla punta delle dita, poi ce n’erano tanti altri che non sono riusciti a fare successo. Anche oggi c’è tantissima gente che fa musica, qualcuno emerge, altri no. Non mi ritengo tra quelli emersi personalmente, sono a metà. Ci vivo, ma non ci vivo benissimo, riesco a pagare l’affitto, riesco a mangiare, punto. È difficile riuscire a fare solo questo, quando anni fa ho deciso di provare ci ho puntato del tutto, perché per lavorare bene è necessario molto tempo.

Sabato suonerai al Circolo degli Artisti di Roma, com’è il tuo rapporto con il live? In quali città sei accolto con maggior calore?

Ho iniziato proprio con il live, facendo i concerti a 20- 50 euro, quanto mi davano, mi sono messo a disposizione da lunedì a lunedì ed ho fatto solo questo. Ho suonato tanto perché mi serviva per fare esperienza, per vivere. Ho fatto tantissimi concerti chitarra e voce, che si prestavano di più ai dischi precedenti. Ora non è più possibile secondo me, ho rinnovato il live e suonerò con la band. Sabato al Circolo ci sarà il mio gruppo, anche perché ho fatto un disco “suonato” e bisogna portarlo in giro “vestito bene”. La città in cui mi sono sentito più a casa è senza dubbio Roma, perché c’è un pubblico bellissimo, sono molto attenti e calorosi, cantano, è molto bello.

Che musica ascolti attualmente? Ci sono artisti o gruppi che ti piacciono e che stimi? Qualcuno con cui vorresti collaborare?

Gente con cui ho collaborato e che stimo sono quelli che ho voluto nel mio album: Vasco Brondi, gli Annie Hall, Dino Fumaretto, Enrico Gabrielli- che ha curato la parte dei fiati del disco- tutte persone che sono anche amici e con cui la stima è reciproca fortunatamente. Un gruppo che mi piace molto sono i romani Masoko, è uscito un disco nuovo molto bello (Masokismo), loro suonano un pop fatto bene, intelligente. Secondo me il fatto che i gruppi indie siano diversi dal mainstream, che non possano arrivare a tanta gente non esiste più. Il problema è dei media, certe cose non vengono passate, quando in realtà la qualità è alta. Se i Masoko passassero a Radio Deejay, ad esempio, farebbero il botto.

È uscito ieri il video di Vieni a Vivere, il primo singolo dell’album. Ti sei occupato della produzione artistica, ce ne vuoi parlare?

Io ho dato un’idea, che in realtà è stata cambiata. Però sono contento che il regista abbia scritto una sceneggiatura sua sulla base della mia idea e su quello che gli avevo suggerito. Far fare ad un regista una cosa che hai in testa tu è difficile, poi lui ha scritto e realizzato un video che mi è piaciuto tantissimo, fatto molto bene tra l’altro. Nel disco precedente il video di Baby Building l’ho realizzato io con le mie mani, quindi quando sei abituato a fare tutto da solo è anche difficile delegare e trovare qualcuno che lavori sulla tua stessa lunghezza d’onda.

Ho notato che in tutte le tue canzoni c’è un forte riferimento alle immagini: “il sole che sbadiglia”, “il diavolo che viene a cena” o “dare l’acqua alla pianta dei sogni”. Quanto è importante la fantasia nella vita di tutti i giorni?

Sicuramente è molto importante, la fantasia ha fatto molte cose belle. La gente fantasiosa ha cambiato il corso della storia, è una cosa che abbiamo tutti e bisogna usarla, non lasciarla lì a marcire. La dimensione onirica mi affascina molto, l’ho voluta ricreare anche nel video, infatti non si sa fino a che punto quel che succede è reale oppure no.

Hai partecipato, con il brano Beato me, alla compilation degli Afterhours (Il paese è reale). Che effetti pensi abbia sortito sulla scena mediatica? Cambierà qualcosa?

Sul fatto che possa cambiare radicalmente la vedo dura, sicuramente è un passo e sicuramente qualcosa muove. Comunque tanto di cappello, loro hanno voluto fare questa cosa e non prendersi tutto il merito e la popolarità di Sanremo. Sono contento che mi abbiano chiamato per fare questa compilation. Sono stati “furbetti” a farla, a sfruttare Sanremo, hanno fatto una cosa intelligente ed altruista, e non si vede spesso in Italia. Poi ci saranno anche degli eventi promozionali legati a questo disco, già lunedì abbiamo suonato alla Fnac di Milano, con gli Afterhours, i Marta sui Tubi, Marco Parente e Marco Inciampo. Si parlava di fare qualche festival, qualche concerto- di cui uno a Radio Italia – dedicato agli artisti della compilation, in cui ognuno suonerà il proprio brano, io credo che andrò chitarra e voce, senza la band.

I CosiUna serata come tante, quella di venerdì scorso. Ma con la voglia di ascoltare un po’ di buona musica italiana. Senza il caos dei grandi eventi, senza la calca dei concerti “importanti”, appoggiati al muro, tenendo il tempo con il piede. È questo il bello dei Cosi: riproporre una certo stile anni ‘70 con piglio personale e sfacciatamente rock. Il loro primo album Accadrà, uscito lo scorso anno, li ha portati in giro per l’Italia e la data romana li ha visti ormai collaudati e in forma, grazie anche alla presenza del bravo Alessandro Deidda, batterista delle Vibrazioni. Forse il modo migliore per definirli è proprio quello che amano dire di loro stessi: “I Cosi ricordano Ennio Morricone che orchestra Adriano Celentano, che canta una canzone scritta da Luigi Tenco a quattro mani con i The Hives”. Un guazzabuglio musicale ben riuscito, in cui ai brani originali si mescolano le cover, dei Beatles, di Modugno, e dello stesso Celentano. Ma i pezzi più interessanti sono senza dubbio gli inediti, dal singolo Domani, basato su una composizione semplice ed efficace, su un ritmo giocato con le mani, vere protagoniste del brano: “Mani che si incontrano così, inaspettatamente faccia a faccia con le mie, sono mani che di notte bramano, si vestono, si svestono, e si consumano perché ti desiderano”. Proseguendo con Rosa, una ballata triste e sofferta, la confessione di una tentazione irresistibile: “Rosa non essere gelosa se non ti guardo più, se penso solo a lei, se la sogno ancora tra le mie lenzuola, più bianca della luna, bella come nessuna, se tu fossi lei come ti vorrei”. Spaziando per un ritmo classico come il valzer de La neve a Milano, in cui alla poesia si mescola la voglia di giocare: “La neve a Milano ti fa tornare bambina come tanti anni fa, e ti lasci cullare dal rumore che fa la felicità, giochiamo come non abbiam giocato mai, che per le strade non ci son più macchine, la neve avvolge già tutta quanta la città, si risveglia in una nuvola soffice, se cadrà ti proteggerà”. C’è tutto questo e molto di più, c’è la volontà di sperimentare, di contaminare i generi per creare un qualcosa di nuovo, strizzando l’occhio alla nostra tradizione, ricordando le nostre radici. Speriamo di vederli davvero a Sanremo.

Ettore GiuradeiVegetable GIl sabato sera del Contestaccio è un appuntamento stimolante per tutti quelli che, come noi, cercano una serata di musica che spazi dal cantautorato al rock più orecchiabile. Concerti che si protraggono fino a notte inoltrata cercando di abbracciare una tipologia di pubblico più variegata possibile. E così a mezzanotte sale sul palco Ettore Giuradei, giovane cantautore bresciano, già apprezzato per i suoi testi eclettici e per l’interpretazione teatrale, che ricorda Conte e Capossela. Due album all’attivo e tanta voglia di suonare e farsi conoscere, ed i suoi brani colpiscono e restano in mente già al primo ascolto. Succede così che ci ritroviamo a canticchiare Zingara: “Prendimi zingara salvami, sentirai i miei baci da bambola, prendimi zingara spogliati, sentirai i miei baci da bambola”. Che ci ritroviamo a riflettere su Stupito: “E’ difficile capire l’incertezza delle cose, la verità che passa in ogni calice”. Che ci fermiamo ad ammirare la semplicità con cui declama i suoi testi profondi e per nulla immediati: “Era che così tra la pioggia e Nick Cave mi veniva di invitarvi ad un banchetto di vino e carne, di violenza e silenzi”. Con la stessa rapidità del cambio palco muta anche l’atmosfera sul palco ed i pugliesi Vegetable G riempiono la sala di suoni psichedelici anni ’60. A farla da padrone è il loro ultimo lavoro Genealogy, un concept album sulla loro personalissima visione del mondo, che può essere racchiusa nella frase: “Did we come from an alien nation?”, una teoria che rimette in discussione tutto, che torna all’origine del mondo, dando quasi per certa l’esistenza di un mondo alieno che ci osserva dall’alto. E con questi tre “atomi con la barba”, come amano definirsi, l’elettronica vintage non è mai stata così attuale: un piano rhodes, basso, batteria e cori in falsetto, la ricetta vincente del gruppo. C’è spazio anche per l’anticipazione del secondo album Calvino, in uscita nei prossimi mesi, e le nuove tracce promettono bene. Messe da parte le teorie evoluzioniste, cosa ci dobbiamo aspettare?

Depeche ModeI Depeche Mode sono una di quelle band storiche e quasi inattaccabili, di quelle che hanno fatto la storia della musica- Elettronica e New Wave in primis- non solo sempre attuali, addirittura d’avanguardia. Il loro sound negli anni ’80 ha influenzato e continua ad influenzare tutte le band indipendenti che sono all’apice della popolarità oggi (Franz Ferdinand, Editors, Killers ed Interpol solo per citarne alcune). Nuovo album- Sound of the Universe– e nuovo tour- Tour of Universe– che toccherà lo Stadio Olimpico il prossimo 16 Giugno, ed il Meazza di Milano due giorni dopo. Nonostante i conflitti interni storici tra il frontman Dave Gahan e la mente Martin Gore, i Depeche continuano a mantenere un equilibrio perfetto, in cui la voce di Gahan riesce ad interpretare egregiamente i conflitti interiori di Gore, lasciando un’impronta unica ed inconfondibile. E questo nuovo album si muove su territori già conosciuti, non apportando novità significative, ma attestandosi comunque su un livello qualitativo alto. Iniziato a maggio ed interrotto subito dopo per problemi di salute dello stesso Gahan, il tour è ripreso con successo, e sono in molti ad aspettare la data romana, dopo il tutto esaurito di tre anni fa. Ad aprire il concerto furono allora i Franz Ferdinand, che tennero il palco per un’ora e mezza creando l’atmosfera adatta per l’entrata dei Depeche, nessuna indiscrezione è trapelata invece su chi prenderà il loro posto quest’anno. Quello che è certo è che il pubblico sarà come sempre eterogeneo, alternando i fans di prima generazione a chi li ha scoperti ed apprezzati da poco. Un concerto che è storico già prima di realizzarsi, per le imponenti scenografie, per i giochi di luce, per la presenza scenica di Dave Gahan, attualmente uno degli istrioni più affascinanti del panorama musicale, capace di intrattenere il pubblico come pochi altri, grazie alle movenze sinuose e alla voce profonda. Uno degli eventi immancabili dell’estate romana insomma, insieme all’attesissimo ritorno di Bruce Springsteen il 19 luglio, sempre allo Stadio Olimpico.

DenteEravamo in tanti ad aspettarlo sabato il concerto di Dente al Circolo degli Artisti. A circa un mese dall’uscita del quarto album, L’amore non è bello, è molta la curiosità di vedere come sarà reso dal vivo, “vestito bene” come ci ha detto qualche giorno fa, con una vera band. Dopo due dischi e un ep e svariate date chitarra acustica e voce, il live è davvero rinnovato. Già negli album precedenti sono state la sua ironia, i giochi di parole a colpirci, ma a questo lavoro non manca proprio niente. Si capisce da subito che la data romana era attesa e studiata, Dente parla con il pubblico, scherza, ci prende in giro, ma soprattutto emoziona. L’apertura è affidata al brano A me piace lei, un piccolo manifesto sull’amore, quello adolescenziale, quello romantico, quello in cui sognare non costa niente, in cui è bello illudersi: “A me piace lei e lei piace a me e vorrei che mi vedesse, che la pensasse esattamente come me.. Se le piace cucinare mi farò cucina, sarò il sole se le piace la mattina”. Ma Dente non è solo questo, è la sua tagliente ironia quello che piace di più, il sarcasmo è ciò che lo rende originale, perché le cose non vanno come te le aspetti, perché la realtà non è un lieto fine, anzi. Chi non ha pensato almeno una volta “Sapessi che felicità mi dà l’idea di non vederti più, l’idea di non fidarmi più qualsiasi cosa mi dirai.. Quindi ho messo le mani in tasca ed ho sputato sulla tavola.. Buon appetito amore mio”. Sul palco si ride, si gioca, Dente esce e poi rientra con un’aureola realizzata con un vassoio dorato e sistemata a mò di cerchietto sulla testa, e al grido di “Che io vi benedica!” ci delizia con il pezzo della compilation Il paese è reale: Beato me.  Il live scivola via con una facilità estrema e il congedo non potrebbe essere più adatto, ci salutiamo sulle note de La cena d’addio, mentre ci incita a fare la rivoluzione, a chiedere bis, a farlo suonare ancora. A gran voce un ultimo, pungente regalo, Canzone di non amore: “Ho la scatola dei ricordi che esonda, ti prego torna, ti prego torna.. da dove sei venuta”.

Afterhours

Gli Afterhours tornano a Roma in occasione della pubblicazione dell’edizione deluxe del loro ultimo album I milanesi ammazzano il sabato, e l’appuntamento di sabato 6 dicembre è immancabile. Devono averla pensata come noi un bel po’ di persone, perché il teatro Tendastrisce è stracolmo di fan di vario genere. È cambiato molto, infatti, il loro pubblico nel corso degli anni, e ai rocker sfegatati si sono aggiunti adolescenti curiosi neo convertiti al sound duro degli After. Ad aprire il concerto Roberto Angelini, sì proprio quello del tormentone GattoMatto, in veste di cantautore esordiente. Convince ma non fino in fondo, perché l’attesa è tutta per la performance di Manuel Agnelli e soci. Con una puntualità inusuale per i concerti, il gruppo sale sul palco in grande spolvero, iniziando con una cover dei Nirvana per scaldare l’atmosfera già rovente della serata. Già dall’incipit il gruppo sottolinea il primato di rock band italiana conquistato in più di vent’anni di carriera e con una decina di album eclettici. Che siano iene o agnelli, in ogni caso gli After si dimostrano dei veri e propri animali da palcoscenico, merce rara nel panorama italico. Due ore e mezzo di musica suonata col cuore, con il corpo e con la rabbia e la dolcezza di un gruppo che di cose da dire ne ha davvero tante e si gode un pubblico di fedeli che canta a memoria ogni brano, vecchio o nuovo che sia. E Manuel Agnelli ci accontenta, porge il microfono alla folla e ci fa cantare, lancia plettri, suona la chitarra con l’asta del microfono, e urla a squarciagola le sue poesie più nere. Uno spettacolo rosso e nero appunto, rabbia, dolore, passione, sono questi i sentimenti che regnano nella performance, e amore, quell’amore squarciato e tormentato che non è cambiato nel corso degli anni, ma che forse si è un po’ levigato grazie alla paternità. Ed è proprio con la canzone più dolce dell’ultimo album che si chiude il concerto, orchi e streghe sono soli, quella “ninna nanna reciproca” che Manuel Agnelli ha scritto per sua figlia. Una buonanotte che ci lascia con la voglia di rivedersi presto e di “lasciarsi infettare” di nuovo dal germe rock degli Afterhours.

I quattro potentini Aeguana Way nascono nel 2005 e sin da subito cominciano a scrivere brani originali e ad incidere i primi demo. Aprono anche i concerti di Piero Pelù e dei Sud Sound System. Ma l’eAeguana Waysordio ufficiale avviene proprio nel 2009 con questo primo album Cambio Pelle. Otto le canzoni, che si snodano sin da subito su un territorio rock, degno erede dell’ultimo ventennio underground italiano (Afterhours e Marlene Kuntz in primis). Lavoro autoprodotto, come nella migliore tradizione indipendente, interessante il connubio musica- testi, che non risultano mai scontati e banali, che non solo accompagnano la musica ma la caratterizzano. Notevole anche il lavoro fatto sulla grafica dell’album, curato nell’artwork e nella scelta dei dettagli. L’apertura è affidata a Tetanica, brano potente ed aggressivo, che delinea già le coordinate di quello che troveremo nel disco “Accarezzo il fondo, ci giro intorno, l’inutilità mi ucciderà”. E l’atteggiamento maledetto e bohemien tipico del rock permea a fondo tutto l’album; che si tratti di una dipendenza affettiva “Lei sa di edera che si arrampica al cuore, a volte fa male.. Lei sa di mescolare brividi e batticuore marciando sul male”, o della nausea verso il proprio Paese “Darei valore ad un oggetto piuttosto che alla mia nazione, sarei sicuro nel difetto ma odio la televisione” o della rabbia verso se stessi “Ti addormenti placido, sanguinando spirito ma capirai sei virtuoso e squallido come il seme gelido, come sei tu”. Il risultato è sempre lo stesso: la voglia di evadere, di trovare qualcosa di forte, di vero che scuota i sensi e l’anima, che faccia sentire vivi, come del resto fa la musica “Voglio un’esplosione al cuore che mi faccia voler te, bere così tanto da pisciare sulle regole.. Voglio percezioni nuove che portan via da qui”. Cambio Pelle scorre piacevolmente, lasciando la convinzione di un esordio interessante, e ci lasciamo portare via sul dorso dell’Iguana, sperando di vederli al più presto dal vivo dalle nostre parti.