Giuseppe Peveri, in arte Dente, è uno dei cantautori più promettenti della scena italiana. Abbiamo approfittato dell’uscita del suo nuovo disco per porgli alcune domande e per saperne di più sia sul suo lavoro che sul suo pensiero. Per un ascolto vi rimandiamo al suo MySpace: www.myspace.com/amodente
Il 14 febbraio, San Valentino non a caso, è uscito il tuo quarto album L’amore non è bello. Un’affermazione dura, lontana dalla solita retorica. Da cosa è dettata?
È dettata dalle canzoni che ci sono dentro fondamentalmente, che parlano di questo lato dell’amore. Ho scritto del rapporto di coppia perché è quello che so fare meglio, non mi riesce scrivere di altro. E poi ho scelto questo titolo perché sapevo che non sarebbe passato inosservato, l’ho fatto anche con gli album precedenti, usare come titolo dei detti un po’ cambiati, come con Non c’è due senza te. Invece di cambiare una parola stavolta ho tolto metà del detto ed ho ribaltato il concetto.
In questo disco si nota una particolare attenzione verso la musica, è un album più ricco musicalmente rispetto a Non c’è due senza te, che era una versione acustica chitarra e voce. Come mai ti sei spostato in questa direzione?
Principalmente perché ho avuto la possibilità di farlo, l’altro cd erano dei demo che avevo fatto in casa e non sapevo nemmeno che sarebbero diventati un album, li avevo fatti da me e quando ho firmato il contratto con la Jestrai, la mia vecchia casa discografica, non ho avuto la possibilità di registrarli in studio perché non c’erano i mezzi. Adesso con l’etichetta nuova, la Ghost Records, ho avuto la possibilità di sbizzarrirmi un po’ di più, cosa che avrei voluto fare anche prima.
L’album è stato giustamente paragonato ad Anima Latina di Lucio Battisti. Quali sono state le altre fonti di ispirazione?
Più che dischi o artisti in particolare è più un’attitudine anni ’70, quel modo di fare i dischi, lavorare in studio, provare insieme i pezzi, suonare dal vivo tutti insieme, registrare sul nastro. Un approccio alla registrazione anni ‘70, suona diverso dalle produzioni di oggi. Volevo fare un disco come si faceva allora, secondo me uscivano delle produzioni molto più belle di quelle attuali, che sono tutte simili, un po’ scialbe.
Com’è attualmente essere cantautori in Italia? Trovi che sia più difficile emergere rispetto al passato?
È difficile viverci, come anni fa. I cantautori anni’70 si contavano sulla punta delle dita, poi ce n’erano tanti altri che non sono riusciti a fare successo. Anche oggi c’è tantissima gente che fa musica, qualcuno emerge, altri no. Non mi ritengo tra quelli emersi personalmente, sono a metà. Ci vivo, ma non ci vivo benissimo, riesco a pagare l’affitto, riesco a mangiare, punto. È difficile riuscire a fare solo questo, quando anni fa ho deciso di provare ci ho puntato del tutto, perché per lavorare bene è necessario molto tempo.
Sabato suonerai al Circolo degli Artisti di Roma, com’è il tuo rapporto con il live? In quali città sei accolto con maggior calore?
Ho iniziato proprio con il live, facendo i concerti a 20- 50 euro, quanto mi davano, mi sono messo a disposizione da lunedì a lunedì ed ho fatto solo questo. Ho suonato tanto perché mi serviva per fare esperienza, per vivere. Ho fatto tantissimi concerti chitarra e voce, che si prestavano di più ai dischi precedenti. Ora non è più possibile secondo me, ho rinnovato il live e suonerò con la band. Sabato al Circolo ci sarà il mio gruppo, anche perché ho fatto un disco “suonato” e bisogna portarlo in giro “vestito bene”. La città in cui mi sono sentito più a casa è senza dubbio Roma, perché c’è un pubblico bellissimo, sono molto attenti e calorosi, cantano, è molto bello.
Che musica ascolti attualmente? Ci sono artisti o gruppi che ti piacciono e che stimi? Qualcuno con cui vorresti collaborare?
Gente con cui ho collaborato e che stimo sono quelli che ho voluto nel mio album: Vasco Brondi, gli Annie Hall, Dino Fumaretto, Enrico Gabrielli- che ha curato la parte dei fiati del disco- tutte persone che sono anche amici e con cui la stima è reciproca fortunatamente. Un gruppo che mi piace molto sono i romani Masoko, è uscito un disco nuovo molto bello (Masokismo), loro suonano un pop fatto bene, intelligente. Secondo me il fatto che i gruppi indie siano diversi dal mainstream, che non possano arrivare a tanta gente non esiste più. Il problema è dei media, certe cose non vengono passate, quando in realtà la qualità è alta. Se i Masoko passassero a Radio Deejay, ad esempio, farebbero il botto.
È uscito ieri il video di Vieni a Vivere, il primo singolo dell’album. Ti sei occupato della produzione artistica, ce ne vuoi parlare?
Io ho dato un’idea, che in realtà è stata cambiata. Però sono contento che il regista abbia scritto una sceneggiatura sua sulla base della mia idea e su quello che gli avevo suggerito. Far fare ad un regista una cosa che hai in testa tu è difficile, poi lui ha scritto e realizzato un video che mi è piaciuto tantissimo, fatto molto bene tra l’altro. Nel disco precedente il video di Baby Building l’ho realizzato io con le mie mani, quindi quando sei abituato a fare tutto da solo è anche difficile delegare e trovare qualcuno che lavori sulla tua stessa lunghezza d’onda.
Ho notato che in tutte le tue canzoni c’è un forte riferimento alle immagini: “il sole che sbadiglia”, “il diavolo che viene a cena” o “dare l’acqua alla pianta dei sogni”. Quanto è importante la fantasia nella vita di tutti i giorni?
Sicuramente è molto importante, la fantasia ha fatto molte cose belle. La gente fantasiosa ha cambiato il corso della storia, è una cosa che abbiamo tutti e bisogna usarla, non lasciarla lì a marcire. La dimensione onirica mi affascina molto, l’ho voluta ricreare anche nel video, infatti non si sa fino a che punto quel che succede è reale oppure no.
Hai partecipato, con il brano Beato me, alla compilation degli Afterhours (Il paese è reale). Che effetti pensi abbia sortito sulla scena mediatica? Cambierà qualcosa?
Sul fatto che possa cambiare radicalmente la vedo dura, sicuramente è un passo e sicuramente qualcosa muove. Comunque tanto di cappello, loro hanno voluto fare questa cosa e non prendersi tutto il merito e la popolarità di Sanremo. Sono contento che mi abbiano chiamato per fare questa compilation. Sono stati “furbetti” a farla, a sfruttare Sanremo, hanno fatto una cosa intelligente ed altruista, e non si vede spesso in Italia. Poi ci saranno anche degli eventi promozionali legati a questo disco, già lunedì abbiamo suonato alla Fnac di Milano, con gli Afterhours, i Marta sui Tubi, Marco Parente e Marco Inciampo. Si parlava di fare qualche festival, qualche concerto- di cui uno a Radio Italia – dedicato agli artisti della compilation, in cui ognuno suonerà il proprio brano, io credo che andrò chitarra e voce, senza la band.