Deve essere stato un po’ come giocare in casa il concerto di ieri per il romano Daniele Silvestri. L’ippodromo delle Capannelle è pieno come poche altre serate del Rock in Roma, e nonostante il caldo decisamente insopportabile la voglia di cantare non viene meno. L’apertura, un po’ sottotono, è affidata a Prima di essere un uomo, brano che lo vede per la prima volta alle tastiere invece che all’immancabile chitarra. Presente, come di consueto, una riflessione sulla situazione italiana, accompagnata dai pezzi più “politici” del cantautore, quali Il mio nemico e Che bella faccia. Ma la serata cambia rapidamente atmosfera, e Silvestri intrattiene il pubblico grazie alla sua ironia, alla sua abilità nel tenere il palco e ai brani più spensierati, quelli che lo rendono un interprete poliedrico, in grado di alternare pezzi impegnati a filastrocche divertenti, come il suo esordio Le cose in comune. Ospite della serata l’attore Fabio Ferri, che in quest’occasione veste i panni del celebre personaggio che accompagna Silvestri nel divertente balletto di Salirò, rendendo con la sua coreografia ancora più trascinante il pezzo sanremese di qualche anno fa. E dopo una scaletta variegata che pesca a piene mani dal vasto repertorio per un’ora e mezzo circa, la band ci concede un paio di bis, il primo leggero e scanzonato con le allegre Gino e l’alfetta e La paranza, e con il suo cavallo di battaglia Testardo, pezzo in cui emerge tutta la sua verace romanità e che il pubblico canta alla perfezione e con rinnovata soddisfazione, ed un secondo più intimista, con Cohiba, manifesto del pensiero politico del cantautore e omaggio alla figura di Ernesto Che Guevara, e con la splendida Aria, brano con cui vinse il Premio della Critica nel Sanremo 1999, e che forse rappresenta uno degli episodi più importanti della poetica di Silvestri, raccontando la vita di un ergastolano in carcere da più di trent’anni: “quando sono fortunato sento l’umido del mare, io la morte la conosco, se non mi ha battuto ancora è perché io, da una vita, vivo solo per un’ora d’aria”. La chiusura è un susseguirsi di percussioni e mani- loro dal palco, noi dal parterre e dalle tribune- fino a sfumare lentamente nel silenzio della notte.
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